Centro
Culturale Candiani
I FILOSOFI E LA
FELICITA'
novembre 2014 / marzo 2015
a cura di
Associazione Culturale "Nemus"
SFI Società Filosofica
Italiana (sezione di
Venezia)
Università Popolare di
Mestre
La filosofia
comincia prendendo sul serio lo smarrimento di
fronte alla casualità della distribuzione dei beni e
dei momenti felici, e si fa interprete del desiderio
degli uomini di controllare il proprio destino. La
consapevolezza di quanto fragile e fugace sia il
bene diventa per la filosofia esigenza di ricerca di
una protezione sicura, di uno scudo che permetta di
affrontare l’incertezza e la precarietà
dell’esistenza. Questo scudo prende il nome di “buon
demone”; eudaimonia significa avere un buon demone e
i filosofi hanno preteso di insegnare a
procurarselo. In vista di questo obbiettivo hanno
indicato le forme e gli stili di una vita buona,
“felice”, che meriti la benevolenza del destino. I
modelli filosofici della felicità sono tuttavia
rimasti lontani dalle esigenze e dalle aspirazioni
dell’uomo comune; per questo sono stati oggetto di
derisione e scherno. La felicità, come la intende il
filosofo, è, infatti, privilegio di quei pochi che
hanno una formazione intellettuale fuori dal comune.
La filosofia non ha dunque nulla da insegnare ai non
addetti? Non credo. I modelli di vita felice
costituiscono certamente un ideale inattingibile,
che inoltre risente delle variabili contingenze
storiche in cui è stato elaborato. Concepiti,
tuttavia, a partire da un’indagine profonda e
articolata dell’animo umano – si pensi, per esempio,
alla meticolosa casistica delle passioni ad opera
degli Stoici – tali modelli consentono a tutti
spunti di riflessione su di sé. Le conferenze di
quest’anno cominciano con le teorie ellenistiche,
che pongono il fondamento della felicità nell’autodominio:
“bastare a se stessi (autarkeia)” è la massima da
cui muove l’Epicureismo nel calcolo dell’utile ai
fini di una completa stabilità. Lo Stoicismo,
invece, si preoccupa di “estirpare” completamente le
passioni, intese come malattie della ragione, per
giungere finalmente alla apatheia o “assenza di
turbamento”. La seconda conferenza tratta della
felicità secondo Plotino: la condizione felice
consiste nella capacità contemplativa, che, una
volta raggiunta, è sempre fuori dal tempo e tronca
ogni relazione con la prassi. Fondamentale è quindi,
per Plotino, la “formazione” come preludio alla
felicità. La prospettiva della ricerca della
felicità in questo mondo viene meno con il
Cristianesimo. La sapienza dei pagani, dirà
Agostino, non è riuscita a indicare una via di
uscita dal male e dalla precarietà dell’esistenza:
solo “la speranza in un mondo futuro” ci permette di
essere felici già adesso, coltivando nell’attesa una
certezza fiduciosa, segno di vera virtù. L’età
moderna è contraddistinta dalla scoperta di nuovi
paradigmi per la decifrazione di un mondo ormai
aperto all’infinito e molto più sorprendente e ricco
di quanto si fosse immaginato nel passato. Le
passioni, le paure, le meschinità degli uomini non
vengono più interpretate come errore della ragione o
tentazione diabolica e diventano oggetto di
riflessione antropologica. La vita individuale non
gira più intorno all’asse dei compiti, dei doveri e
dei fini prefissati; ognuno deve trovare da se
stesso il proprio “asse di rotazione”: è la lezione
di Michel de Montaigne. Nel ricollocare l’uomo
nell’ambito della natura, elevando tutti i viventi a
una stessa dignità, i libertini trovano la felicità
nella dimensione mondana del naturale
soddisfacimento dei bisogni. Con Spinoza – per il
quale le passioni entrano nell’Etica accanto agli
oggetti prediletti della filosofia, come Dio, la
mente, la libertà – la felicità è la crescita
individuale dell’uomo per acquisire una
consapevolezza di sé come modo della potenza della
natura e parte del sistema delle relazioni sociali.
(I libertini e Spinoza vengono trattati nella
settima e ottava conferenza). A partire dalla
seconda metà del ‘700, in Inghilterra, il tema della
felicità è pensato in una inestricabile connessione
con il tema degli interessi di cui gli individui
sono portatori e dei quali è possibile fare un
calcolo razionale. La parola felicità verrà
sostituita da Jeremy Bentham con “ben-essere”,
termine che attesta un saldo positivo tra dolori e
fastidi da un lato e soddisfazioni dall’altro.
(Quinta conferenza). Nel rapporto intimo con la
natura, nella ricerca di un sé autentico, lontano da
una società il cui unico valore è l’utile
mercantile, lo scrittore americano Henry David
Thoreau ripropone un’idea di felicità fondata sulle
piccole cose. (Sesta conferenza). L’ultima
conferenza è dedicata a un autore contemporaneo,
Jean-Luc Nancy, per il quale l’uomo, animale “non
ancora definito”, è libertà, intesa come
un’esperienza a cui non il pensiero astratto, ma
l’esistenza concreta dà forma e risalto.
novembre 2014 /
marzo 2015 ore 18,00